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Tacito
De oratoria,25
 
originale
 
[25] Tum Messalla: "sequar praescriptam a te, Materne, formam; neque enim diu contra dicendum est Apro, qui primum, ut opinor, nominis controversiam movit, tamquam parum proprie antiqui vocarentur, quos satis constat ante centum annos fuisse. Nihi autem de vocabulo pugna non est; sive illos antiquos sive maiores sive quo alio mavult nomine appellet, dum modo in confesso sit eminentiorem illorum temporum eloquentiam fuisse; ne illi quidem parti sermonis eius repugno, si comminus fatetur pluris formas dicendi etiam isdem saeculis, nedum diversis extitisse. Sed quo modo inter Atticos oratores primae Demostheni tribuuntur, proximum [autem] locum Aeschines et Hyperides et Lysias et Lycurgus obtinent, omnium autem concessu haec oratorum aetas maxime probatur, sic apud nos Cicero quidem ceteros eorundem temporum disertos antecessit, Calvus autem et Asinius et Caesar et Caelius et Brutus iure et prioribus et sequentibus anteponuntur. Nec refert quod inter se specie differunt, cum genere consentiant. Adstrictior Calvus, numerosior Asinius, splendidior Caesar, amarior Caelius, gravior Brutus, vehementior et plenior et valentior Cicero: omnes tamen eandem sanitatem eloquentiae [prae se] ferunt, ut si omnium pariter libros in manum sumpseris, scias, quamvis in diversis ingeniis, esse quandam iudicii ac voluntatis similitudinem et cognationem. Nam quod invicem se obtrectaverunt et sunt aliqua epistulis eorum inserta, ex quibus mutua malignitas detegitur, non est oratorum vitium, sed hominum. Nam et Calvum et Asinium et ipsum Ciceronem credo solitos et invidere et livere et ceteris humanae infirmitatis vitiis adfici: solum inter hos arbitror Brutum non malignitate nec invidia, sed simpliciter et ingenue iudicium animi sui detexisse. An ille Ciceroni invideret, qui mihi videtur ne Caesari quidem invidisse? Quod ad Servium Galbam et C. Laelium attinet, et si quos alios antiquiorum [Aper] agitare non destitit, non exigit defensorem, cum fatear quaedam eloquentiae eorum ut nascenti adhuc nec satis adultae defuisse.
 
traduzione
 
25. Allora Messalla: ?Seguir?, Materno, la linea che tu hai tracciato; non meritano, infatti, una lunga confutazione gli argomenti di Apro, che ha cominciato con l'aprire, come penso, una controversia giocata sulle parole, giudicando scorretto applicare il termine di antichi a persone che sappiamo benissimo essere vissute cent'anni fa. Per me lo scontro non ? su una parola: pu? chiamarli antichi o antenati o con qualsiasi altro nome gli piaccia, purch? si ammetta la superiorit? dell'eloquenza di quei tempi. Non muovo obiezioni neppure a un'altra parte del suo discorso: non ho difficolt? ad ammettere che sono esistiti diversi tipi di eloquenza anche in una stessa epoca, e tanto pi? quindi in epoche diverse. Ma, come tra gli oratori attici il primo posto ? assegnato a Demostene, e subito dopo di lui vengono Eschine, Iperide, Lisia e Licurgo, e tuttavia, per ammissione unanime, questo periodo dell'oratoria ? considerato il migliore, cos? da noi Cicerone ha superato tutti gli altri oratori contemporanei, e per? Calvo, Asinio, Cesare, Celio e Bruto vengono giustamente collocati al di sopra di quanti li hanno preceduti e seguiti. Poco importano le specifiche differenze, dal momento che i caratteri generali concordano. Calvo ? pi? conciso, tutto nervi Asinio, pi? splendido Cesare, pi? pungente Celio, pi? solenne Bruto, pi? appassionato, pi? pieno e pi? efficace Cicerone: tutti, per?, dimostrano lo stesso aspetto sano della loro eloquenza, al punto che, se tu prendi in mano tutti insieme i loro libri, tu scoprirai che, nella diversit? dei talenti, esiste una certa somiglianza e parentela nel gusto e nelle aspirazioni. Il fatto che si siano denigrati a vicenda e la presenza nelle loro lettere di passi rivelatori di una reciproca avversione non vanno addebitati al loro essere oratori, bens? uomini. Sono infatti convinto che per Calvo, Asinio e lo stesso Cicerone fosse normale provare sentimenti di invidia e di livore ed essere intaccati dagli altri vizi propri dell'umana debolezza. Ritengo che, fra costoro, il solo Bruto abbia manifestato il giudizio che veniva dal profondo non per malignit? o invidia, ma per ingenua schiettezza. Come ? possibile che fosse invidioso di Cicerone, se, come mi pare, non ha provato invidia neppure per Cesare? Nel caso di Servio Galba e di Gaio Lelio e di quegli altri pi? antichi, se ve ne sono, che ?Apro? non ha smesso di attaccare, non c'? bisogno di un difensore, perch? riconosco la mancanza di certe qualit? nella loro eloquenza, allora ancora sul nascere e non abbastanza sviluppata.?
 

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